Un inverno quello del 2013, che però per la città in trasformazione non sarà stavolta di torpore. La Confederation Cup in agenda per il prossimo luglio, i preparativi per la Coppa del Mondo di calcio del 2014 e le Olimpiadi del 2016, sono benzina sul fuoco in una metropoli affascinante quanto problematica, che sperimenta gli effetti di una economia in crescita, con le infrastrutture da ammodernare per superare le prove da grande potenza globale.

Complesse, numerose e differenti sfide per le quali le autorità hanno messo in campo tutto il possibile, soprattutto per migliorare la situazione critica della sicurezza pubblica. La vera grande questione sociale e di immagine della città, dove lo stereotipo di violenza e traffico di droga nelle favelas non facilità l’analisi di una realtà molto più difficile sotto la superficie dove si fermano spesso le rappresentazioni di media e cinematografia. Per superare problemi storici e antropologici, oltre che criminologici, negli ultimi anni, la più grande rivoluzione a Rio è stata forse proprio quella nella politica di sicurezza pubblica.

Un passaggio epocale che si condensa intorno al concetto di Upp, “Unidade de Policia Pacificadora” che hanno significato in una volta sola, l’abbandono della tradizionale modalità di guerra nel contrasto della criminalità e del traffico, e l’avvio di una politica di pace con una polizia di prossimità che porti alla liberazione dei territori delle favelas dai trafficanti. Con la speranza di poter dare diritti di cittadinanza agli abitanti delle comunità finora frustrate dall’assenza dello Stato e strette tra la violenza di polizia e criminali.

Nonostante nelle parole di politici e autorità istituzionali mondiali di calcio e Olimpiadi non siano il motivo principale per il quale la nuova strategia sia stata messa in campo, è questo di fatto il tema ricorrente in ogni analisi sulla politica delle Upp. Anche ieri a poche ore dalla complessa operazione in programma per l’alba di oggi (domenica 3 marzo) nelle comunità che compongono il Complexo di Caju, un conglomerato di 13 diverse favelas che ospitano un totale di quasi 70mila abitanti, in una delle aree più delicate della città. Come nelle precedenti 30 Upp già create in città con lo scopo dichiarato di riprendere il controllo del territorio, strappandolo alle fazioni di banditi che lo difendono con armi da guerra, la polizia entrerà in forze. E per rimanerci.

Dopo alcune azioni mirate nel corso delle settimane precedenti per sequestrare armi, droga e per arrestare ricercati, convincendo di fatto molti trafficanti a lasciare l’area, domani sarà il momento dell’occupazione ‘definitiva’, quando verranno impiantate delle piccole stazioni di polizia all’interno dei territori, dove lavoreranno centinaia di agenti impegnati a pattugliare l’area durante tutto il giorno, e cercando di inaugurare anche un nuovo modo di rapportarsi con la popolazione, non più con violenza verso i residenti, ma con spirito di collaborazione.

L’obiettivo delle autorità non è eliminare lo spaccio, ma di ‘normalizzarlo’, liberando le comunità dalle ronde armate dei trafficanti dando vita nuova alla favela. Con libertà di entrata per tutti e tranquillità di vivere, senza il timore di violenti e improvvisi confronti armati con il relativo rischio di pallottole vaganti.

La prima unità di polizia di prossimità, è nata in città nel dicembre del 2008. Il grande successo ottenuto nel laboratorio della piccola favela di Santa Marta, nel quartiere nobile e ricco di Botafogo, ha fatto ben sperare. Lo sprone anche economico delle competizioni sportive internazionali ha fatto il resto. Da quel momento la Upp sono state 31 alle quali se ne aggiungeranno altre fino a giungere a 40 entro il 2016 . Dopo aver bonificato tutte le favelas della zona sud dei quartieri nobili e cuore turistico della città, l’azione si è allargata a tutta l’area anche della zona nord che circonda lo stadio Maracanà, spingendosi poi verso comunità strategicamente chiave per il controllo del narcotraffico da parte dei banditi come il Complexo do Alemao nel 2010 e la famosa Rocinha nel 2012.

Domani sarà concluso il primo dei due appuntamenti che porteranno alla chiusura di questa prima fase: terminare anche la pacificazione di tutta l’area degradata che è attraversata dalla principali strade e autostrade che dall’aeroporto Internazionale Tom Jobim conducono al centro della città. All’alba di domani inizieranno le operazioni militari che vedranno impegnati 1.100 uomini della polizia militare e civile dello Stato di Rio, e circa 200 fucilieri della Marina Militare, che sosterranno le azioni di polzia con i loro carri armati, secondo una strategia già provata con successo in altre aree. La tappa immediatamente successiva, nelle prossime settimane sarà quella di pacificare Marè, una delle favelas più complesse dal punto di vista socio economico e anche criminale, essendo dominata da due diverse fazioni criminali, il “Comando Vermelho” e il “Terceiro Comando”e da una milizia. Per ottenere un successo a Marè la strategia militare è stata stavolta diversa. Non un’attacco frontale unico, ma un accerchiamento partito dalla pacificazioni di favelas confinanti, iniziata lo scorso ottobre con “Manguinhos” e “Jacarezinho”. La zona dove più di ogni altra fiorivano punti di vendita di crack che in breve si sono fatti veri accampamenti di tossicodipendenti. Rientrerà nelle operazioni di domani anche la “Barreira do Vasco” comunità dove vivono circa 7mila residenti che sorge accanto allo stadio della squadra di calcio del Vasco da Gama, il “São Januário”, che sarà il nuovo stadio olimpico per le partite di rugby di Rio 2016.

La pacificazione ‘olimpica’ terminerà entro il 2014, quando saranno bonificate le favelas della zona Est della città. Favelas che nel corso dei mesi hanno ricevuito i trafficanti scappati da altre comunità interessate dalla pacificazione e che sorgono proprio nell’area dove saranno ospitate la stragrande maggioranza delle strutture olimpiche.

Nonostante l’assenza di banditi armati e la maggiore serenità di vita, per i cittadini il prezzo da pagare per una sicurezza che troppo spesso non è accompagnata da piani di recupero sociale efficienti è molto alto. Il principale fenomeno è quello chiamato di “Espulsione bianca”. In pratica la speculazione edilizia sia per acquisire terreni dove edificare nuove costruizioni, che per ammodernare strutture e favorire l’ingresso di investimenti stranieri, ha causato l’impossibilità di molti residenti di poter rimanere nelle aree pacificate, al centro della speculazione.

Per molti, la lettura della vicenda passa per una sorta di complotto: la necessità di fare affari per i costruttori e la necessità di coinvolgere nel commercio anche le comunità prima inaccessibili. Un modo che vedrebbe solo vittime i cittadini, già molti costretti ad allontanarsi dalle comunità per l’aumento vertiginoso anche del 200% degli affitti in alcune aree. Aumento cui si deve aggingere per molti anche il pagamento di servizi come elergia elettrica e acqua prima mai pagati. Troppo per i lavoratori poveri delle favelas, costretti a emigrare verso aree non pacificate o nelle prefetture dell’area metropolitana di Rio. Altri prefetture, altri comuni che non hanno certo possibilità di pagare piani di sicurezza pubblica degni della capitale e che per questo ricevono insieme ai lavoratori poveri anche i trafficanti fugiti. Un problema questo che pare però non essere olimpico e che forse non interessa quei politici come il Governatore o il Prefetto, i mandati dei quali scadono nel 2016, quando le telecamere e gli occhi del mondo saranno lontani.